Poi l’impatto.
In un attimo mi ritrovo a mezz’aria e nell’istante successivo a terra, con un tonfo del mio corpo sul cemento e della mia bici poco distante.
Cos’è successo?
Mi tiro su, mettendomi seduta, e guardo i miei piedi: quello destro è parallelo al suolo, abbandonato alla gravità in modo anomalo, mentre poco sopra la mia caviglia è apparso un dosso. Un’orribile sporgenza che infrange ogni mio sorriso, prosciuga ogni goccia del mio buon umore, mi allontana di anni luce dalla mia meta, dalle mie aspettative, dai miei programmi e dalla mia vita di tutti i giorni.
Mi lascio ricadere all’indietro, mentre attorno a me vedo raggrupparsi decine di persone. Osservo i loro volti, ascolto le loro voci che mi incitano a stare calma e a respirare, ma dalle mie labbra incurvate in una smorfia d’incredulità escono solo poche parole, che si ripetono all’infinito: “Non ci voleva”. Osservo un ragazzo portare il cellulare all’orecchio, descrivere l’accaduto, chiamare aiuto. Un gruppo di ragazze mi osserva e una di loro è in ginocchio al mio fianco, mi tiene la mano e mi racconta le sue disavventure in bici, mi dice che andrà tutto bene. Un negoziante esce correndo in strada e parla con gli altri: non sono l’unica a cadere in quel punto, di incidenti del genere ne vede a decine ogni giorno. Una signora mi invita a chiamare qualcuno ed io tremando compongo il numero di mia madre. Mentre ascolto gli squilli come fossero campane che suonano a morto, nella mia testa tuonano le sue parole: “Stai attenta, chiamami quando arrivi, così so che non ti sei schiantata da qualche parte”. Mamma… mi dispiace tanto.
Sento finalmente la sua voce. Io però singhiozzo e riesco solo a ripetere il suo nome, mentre le parole mi muoiono in gola. La signora gentile allora parla con lei al posto mio, mentre il mio sguardo offuscato dalle lacrime si muove da una persona all’altra.
Vorrei fosse tutto un sogno. Ma è anche troppo reale. Sono a terra e rivedo nella mia testa l’immagine atroce della mia caviglia distorta come i soggetti di un quadro surrealista, mentre ripeto la stessa frase come un mantra.
Penso alla mia vita: la libertà che da pochi giorni stavo godendo nel sole primaverile, il mio amato lavoro che mi riempiva di soddisfazioni e avevo finalmente ripreso, gli amici che avevo rivisto e quelli che avrei dovuto incontrare, la gioia che sta nelle piccole cose. Ora non c’è più nulla. Ora la mia vita si è ridotta ad un vociare di sconosciuti, alle sirene dell’ambulanza, ai miei timori, i miei dubbi, il mio terrore dell’ignoto. La mia vita ora ruota attorno a pochi centimetri del mio corpo, alle ossa che si nascondono sotto la mia pelle e i miei muscoli, alle lacrime che continuano a rigarmi il volto con ferocia e mi inzuppano la maglietta che ho disegnato io stessa.
La vita ha smesso di sorridermi. Ora provo solo confusione, rabbia e una densa paura verso il futuro che mi si prospetta.
Accade tutto in un attimo.