La luna pareva il sole a mezzogiorno per quanta luce faceva quella notte. Le stelle allo stesso modo erano luminosissime: diamanti scintillanti incastonati in una volta celeste totalmente sgombra dalle nuvole.
Soffiava una lieve brezza estiva, dolce, di quelle che ti smuovono appena i capelli e ti impediscono di soffrire il caldo asfissiante della bella stagione. A luglio inoltrato il calore estivo non si risparmia nemmeno di sera, né di notte, e così pare una benedizione un po’ di vento.
Quella notte l’aria profumava di avventura. Grezza, selvaggia, improvvisata, inaspettata. Quella notte il mio mondo smise di ruotare e si fermò, solo per farmi vivere il momento fino all’ultima cellula, fin dentro all’ultimo poro della pelle.
Mi ricordo il rumore del vento che attraversava le chiome degli alberi, rigonfie di vita. Quel suono col tempo prese la forma di una melodia capace di guarire ogni ferita e io, appeso ai miei pensieri, ne seguii il ritmo.
Non potrei mai dimenticare la vista che mi trovai davanti, immerso in quella magia notturna che riesce sempre a trasformare ogni cosa rendendola unica, speciale, misteriosa.
Sdraiato in cima ad una collina con una manciata di amici, mi sentivo ricolmo di pace, e mi scaldavo nel tepore di una dolce serenità inaspettata. Attorno a me si trovavano i miei alleati, quelli più fidati, le persone il cui costante chiacchiericcio riempiva l’aria e rappresentava un magnifico sottofondo a quella serata speciale.
Io però, restai muto a lungo. Perso in una profonda contemplazione, nella mia testa scorrevano rapidi come un torrente migliaia di pensieri, idee e quesiti nati dalla vista che in quel momento mi riempiva gli occhi. Certo, qualche risata mi scappò, assieme ad un breve commento in risposta ad una sciocca battuta, ma io mi trovavo lì solo fisicamente.
Era la mia mente la vera protagonista. Lei galoppava veloce lungo la linea scura dell’orizzonte e tra le stradine illuminate del paesino a fondo valle, volava tra le miriadi di stelle che brillavano al di sopra delle nostre teste e finiva poi per adagiarsi sulla pallida superficie lunare, in silenzio, quasi a volersi riposare dopo infiniti momenti di profonda riflessione.
Quella notte mi sentii vivo. Avevo davanti ai miei occhi il mondo intero, e non solo una piccola valle illuminata dalle luci di un minuscolo paesino. Ciò che osservai con una tale attenzione mi colpì così tanto che ora ricordo solo quello scorcio notturno di mondo, e non i discorsi fatti dai miei amici, o i vestiti che indossavamo, o il numero di bottiglie di birra che bevemmo.
Dinnanzi a me – di fronte a tutti noi – quella notte si ergeva fieramente il simbolo della vita, della bellezza nascosta nella semplicità di tutti i giorni. Bastava aguzzare un poco la vista e concentrarsi: era lì di fronte a tutti noi.
Mi parve essere durata un attimo, quella notte. Ero così assorto nel mio viaggio interiore, che nemmeno mi accorsi che passarono due, tre, quattro ore, fino a che non infransi il coprifuoco. Me ne resi conto grazie ad un mio amico più attento di me, che mi fece notare l’orario.
Allora il mondo tornò a ruotare. Le voci dei miei amici diventarono poco a poco più intense, i loro discorsi presero forma nella mia testa e ogni piccola magia che si era creata in quelle ore si ruppe. La melodia che attraversava le chiome verdi tornò ad essere un semplice fruscio, l’aria tornò a profumare di rugiada.
Quella vista, però, rimase speciale.
Ci tenni gli occhi addosso fino all’ultimo istante, quando poi gli voltai le spalle e mi incamminai piano piano verso casa.