Tengo gli occhi chiusi.
La musica inonda la stanza e mi culla come una piccola barca a vela in un mare calmo. Non so dove siano gli oggetti che mi circondano, non so in che punto della stanza io sia. Però questo luogo mi sembra il mio regno segreto dove posso essere me stessa. Non c’è vergogna, dentro questo buio che mi avvolge. Non c’è paura.
Mi lascio andare.
Le mie braccia si muovono lente nell’aria, senza pensare a niente se non a trasformarsi in vento, esplorare la pece che mi circonda. Percepisco la luce del mattino penetrare dalle tende chiare, la sento posarsi sulle mie palpebre gonfie. Anche la mia testa danza senza pensieri. Ondeggia, portando con sé un mio piccolo sorriso.
Sorrido.
Questa musica mi accarezza, mi sussurra all’orecchio che è arrivata la calma, la tranquillità, che non devo più preoccuparmi. Mi invita a rincorrere il cuore. Come sempre. Questa volta, però, le uniche parole che sento sono note musicali, gli unici gesti che faccio sono passi di una danza sconosciuta. Mi sembra acqua, una cascata di sensazioni positive. Mi sento così rilassata, così in pace con me stessa. Quasi non ci credo.
La musica prosegue.
Mi sembra di sentire le onde del mare, che lente arrivano a riva e lente tornano al largo, che un minuto mi abbracciano l’anima e già mi abbandonano quello seguente. Il suo è un movimento regolare, ma imprevedibile allo stesso tempo. Però non mi impaurisce: lo seguo ad occhi chiusi e mi lascio guidare verso un altro posto. Lontano da qui, lontano da me.
Viaggio.
Le pareti della mia stanza si trasformano in vento, le piastrelle su cui muovo i piedi si tramutano in erba morbida, il soffitto bianco diventa un cielo azzurro. Sembra tutto così reale. La musica mi racconta storie che non conosco ma in cui ho vissuto, mi dice dolci parole, nel disperato tentativo di sovrastare quelle che dico io a me stessa. Tutt’altro che dolci. Cammino per questo prato, schiacciando l’erba brillante ad ogni passo, acchiappando il vento nelle mani quando le chiudo in movimento.
Sento tutto.
Mi sembra di respirare più a fondo del solito. Sento la stanchezza delle mie gambe e delle mie braccia, ma è dolce e non mi fermo di certo. I miei occhi chiusi mi fanno percepire una strana confusione che mi destabilizza un poco, ma non li apro per nessun motivo al mondo. Sento le mie labbra incurvarsi nuovamente, ma in modo diverso, percepisco una serenità distorta addosso. Come se questa stanza in realtà non fosse la mia camera, ma una cella. Forse vi sono rinchiusa a sfogare il mio ultimo ballo prima di morire. Forse neanche mi importa.
Piango.
Una lacrima mi riga il volto e mi bacia un labbro. Che amore triste, quello che mi si consuma in viso. Fa male ma non si esaurisce mai. Non lo evito nemmeno. Forse mi piace, senza che io lo sappia. Questo sale mi graffia la faccia, mi dice che chiudere gli occhi non serve a nulla. Crudele! Lasciami danzare. Muovo le braccia, muovo il bacino, muovo le gambe. Il mio corpo si sposta per la stanza da solo, senza che io ne controlli le azioni. Come non controllo queste lacrime.
Non capisco.
La musica mi bacia, mi accarezza, mi stringe a sé. Io sorrido, ma è un sorriso anomalo. Non è di gioia. Non è di pace. Era tutta una menzogna. Sto lasciando il mio corpo, la mia mente. Mi sono gettata dalla piccola barca a vela e sto andando alla deriva, circondata d’acqua salata. Ballo, senza sosta, sorrido e mi accarezzo il viso con le mie stesse mani, faccio ampi movimenti col corpo, seguo questo ritmo dolce. Provo a consolarmi, ma è troppo tardi. Non sono tranquilla.
Mi lascio cadere.
La musica ha terminato il suo corteggiamento. Io l’ho amata davvero, però ormai tace. Le pareti della stanza tornano tali, così come il pavimento ed il soffitto. Sono ripiombata nella normalità. Mi piaceva quella magia distorta. Una magia che ti ammalia ma ti lascia i suoi effetti collaterali. Come risvegliarsi dopo una sbornia. Come disperarsi dopo aver riso di gusto. Conosco questa sensazione. Mi è amica, ormai. Ora giaccio sulle piastrelle fredde. I miei occhi fissano il soffitto, il lampadario immobile.
Mi sento sola.
Ascolto il cinguettio degli uccellini fuori dalla mia finestra, mischiato agli schiamazzi dei bambini e alle loro risate. Tutto in questa stanza mi osserva, fermo, immobile. Come un corpo privo di vita. Mi sento così, a volte. Mi sento così anche ora. Quanta luce che c’è. Percepisco una stanchezza interiore. Potrei addormentarmi, forse. A cosa penso? Non lo so. Mi sento sola al mondo. Che sciocchezza. Oppure no?
Ho freddo.
Le piastrelle chiare del pavimento sono congelate al contatto con la mia pelle nuda. Poco fa sudavo. Ora tremo. Mi ricorda le serate in solitudine in balia del vento. Quando il freddo mi scheggiava il viso con i frammenti dei ricordi più belli e mi avvelenava il vino con quelli dei ricordi più brutti. Bevevo di gusto e mi inebriavo della mia stessa autodistruzione.
Potrei morire qui.
Non ho più energie. Ho ballato a lungo, certo. Ora mi dolgono le braccia e le spalle, la schiena, le gambe. La mia testa pulsa, pesa. La mia testa è vuota. Oppure è troppo piena, straborda. Chiudo gli occhi. Oggi non faccio nulla. Forse ballerò, un’altra volta, un altro giorno. Forse sorriderò, senza lacrime a rincorrermi.
Sono fatta così.
Non c’è tempo di pensarci, uccidersi con i pensieri malvagi. Non ho risposte, lo so. Le mie domande posso nasconderle dietro una canzone, un passo di danza. Posso chiudere gli occhi e lasciarmi trasportare da queste sensazioni balorde. Posso spiccare il volo rimanendo ferma. Immobile come sempre, senza parole da dire, senza spiegazioni da dare. Persa nel nulla che mi circonda.