Stare muta

Mi irrigidisco, incrocio le braccia davanti al petto per proteggermi dal mondo. Ho tutto questo immenso amore da donare al prossimo che, però, mi resta bloccato in fondo alla gola, come un sorso di vino troppo forte. Mi brucia con prepotenza e mi fa lacrimare gli occhi, per quanto mi scotta qui in fondo.

Vorrei detonare in un’esplosione di abbracci calorosi e sinceri come fossi un fuoco d’artificio che illumina il porto e la lunga distesa d’acqua salata che lo avvolge, perdermi in sproloqui di sentimenti che mi lascino a bocca asciutta e prosciugata del tutto, dare il 100% delle mie emozioni e star bene nell’esatto momento in cui lo faccio, sentirmi realizzata.

Ma io non sono fatta così. Per ogni volta che parlo col cuore in mano, ci sono centinaia di migliaia di pensieri ed auto-rimproveri che si ripetono a macchinetta nella mia testa, appendendosi alle pareti della mia mente con i loro lunghi artigli che ne strappano via grandi brandelli di gioia e spensieratezza, scuotendomi il cuore con prepotenza fino a farlo piangere interminabili amare lacrime. Mille sussurri diventano voci, cori che mi ripetono insistentemente che devo tacere, perché tutto ciò che dico è sbagliato, fuori luogo. Ed io ci credo. Forse ancora più di quanto io creda nelle mie capacità. Non posso che farlo, nel momento in cui le voci nel mio cranio sovrastano le parole altrui.

Costruisco una barriera di scherzi e risate sguaiate, ma dentro di me un vortice d’insicurezza imperversa e distrugge ogni cosa, ogni convinzione ed ogni sicurezza che mi sono costruita con tanto impegno e dedizione. Spazza via ogni parola, chiude a chiave ogni porta o finestra verso il mondo esterno.

Mi domando se io scriva perché non sappia parlare, o se non parli perché sia abituata a scrivere. So solo che di fronte ad un foglio ogni emozione prende forma di parole e si incatena a quella precedente e la sua successiva, creando ghirlande di pensieri che finalmente posso esternare, dopo anni di reclusione in fondo alla mia gola.

Ma resto fredda. Distaccata. Dico di stare bene, ma non lo so nemmeno io. Di fronte al silenzio di qualcuno attento all’ascolto resto muta, come se non pensassi nulla. Invece penso e mi distruggo, penso ad ogni cosa, rifletto su tutto, rifletto anche troppo. Eppure non parlo. Mi faccio una risata, sparo una battuta come fosse una palla di cannone contro un nemico invisibile, mi nascondo dietro le mie braccia incrociate.

Vorrei scusarmi con tutti coloro che hanno disperatamente provato a farmi parlare, ma senza successo alcuno. Non è colpa di nessuno se non mia.

Non riesco a fidarmi, forse. Perché una carezza oggi è uno schiaffo domani ed una volta che ho parlato le mie parole sono state scoperte sul tavolo, nude, scarne, vulnerabili.

Ho paura di esternare ciò che provo e penso, perché così facendo lo rendo reale. Lo rendo concreto, lo trasformo come uno scultore fa con le sue statue da un blocco di marmo e lo lascio lì, per sempre, così che io possa guardare i miei sentimenti dritti negli occhi e compiacermene magari, oppure soffrirne.

Allora vorrei sdraiarmi in un vastissimo prato, rivolgere lo sguardo al cielo, scagliare i miei occhi contro quella distesa azzurra e parlargli, spiegare al vento come sto, sperando che porti le mie parole imbarazzate altrove, magari all’orecchio di chi può capire.

Parlo, ma solo tra me e me. Sono la mia unica ascoltatrice ma non riesco a supportarmi. Almeno, però, mi sfogo un po’, rintanata nel mio angolo sicuro, con le ginocchia in petto e la testa china. Questo è il mio modo di parlare a me stessa. Non riesco con nessun altro. Perché se una lacrima mi riga il volto, allora sono debole, vulnerabile. Se la mia risata è troppo rumorosa, perdo tutta la mia profondità.

Vorrei sparire. Io e le mie centinaia di preoccupazioni, i miei limiti che mi impongo da sola, i ricordi che mi vietano d’essere felice.

È stancante, combattere contro se stessi. Ti logora l’anima, il cervello, ti ruba ogni briciolo di speranza, mentre sotto sotto vorresti solo spendere, perché sai che sei fatto per brillare, per avere susccesso, per essere felice, felice davvero.

Io ci provo, a non ascoltare quel tornado di distruzione che si porta via ogni cosa bella, ma il mio corpo lo segue e, senza neanche accorgermene, mi ritrovo imprigionata nelle mie stesse braccia incrociate davanti al petto.

Voglio scappare da questa cella buia, parlare, urlare se ce n’è bisogno. Senza pentirmene, mai.

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