Sono le giornate grigie a tirarmi fuori le emozioni più nascoste. Sono quei giorni uggiosi che coprono il cielo di polvere, nebbia, pianti di pioggia qua e là. Sono quelle ore di buio perenni, che pare non sia neanche sorto il sole. Sono quelle volte in cui la luce bianca del cielo nascosto è così forte da bucare gli occhi, da spingerti ad usare gli occhiali da sole, nonostante sia proprio lui a non esserci.
Il freddo sembra più freddo ancora, il vento più violento, la città più triste, meno viva. I balconi sembrano crepe nel suolo d’estate: un ricordo di qualcosa che è stato ma che ora giace morto a terra, inanimato. Le facciate dei palazzi sembrano sporche, polverose, non brillano di colori come al solito, non raccontano alcuna storia con gli intrecci in pietra che ne decorano i cornicioni, i disegni che ravvivano il cemento ed i mattoni.
Il silenzio scorre come acqua ovunque, ricopre le strade, si insinua nei negozi, inonda i bar, bagna i marciapiedi. C’è meno gente in giro e, anche se ce ne fosse tanta, starebbe in silenzio, quasi a condividere l’umore della giornata. Come faccio io qui, in camera mia.
Dal mio balcone mi sembra di vedere un enorme muro di cemento. Non ci sono più i condomini, i cortili, i tetti su cui passeggiano i piccioni, il cielo che si riduce ad una strisciolina striminzita tra le sagome dei palazzi, le strade percorse da tante macchine, il viale pieno di passanti e turisti. Tutto sembra essersi fuso in un triste muro di cemento, che mi occupa la vista e mi ispira una sola cosa: solitudine.
Mi sento sola, quassù, mentre invece ho sempre amato affacciarmi dal mio minuscolo balcone e respirare un po’ di vita cittadina, osservare i suoi ingranaggi muoversi perfettamente. Mi sento sola e stare soli spesso non fa bene. Perché riaffiorano ricordi, rimpianti, sbagli. E poi che ci dovrei fare io, con questo cesto pieno di vita che mi pesa tra le braccia? Se ne estraggo qualcosa, non posso fare a meno di riviverlo e soffrire perché mi ha fatta stare male, o soffrire perché è un bel momento ma ormai bloccato nel passato.
Mi ritrovo a dare la colpa alla giornata cupa: se solo il cielo fosse turchino e il vento non così cattivo, ora sarei in un parco a godermi la natura; se mi fossi svegliata con un bel sole brillante affacciato alla finestra, ora avrei più voglia di vivere. Proseguo, nel mio contorto rituale in questa giornata uggiosa, e mi attorciglio attorno ai sentimenti che fuggono dal mio cervello stesso e corrono liberi per la stanza. Vorrei un abbraccio, poi un po’ di cioccolato, poi ancora una risata con un amico. La mia testa si svuota ma allo stesso tempo è piena fino all’orlo, pronta a rivelare chissà quali altri contorti ragionamenti che possano rovinarmi la giornata.
Provo a guardare fuori, desiderando con tutto il cuore che quello spesso muro grigio crolli e la giornata prenda una piega positiva, il sole esca all’improvviso con una tale violenza da bruciarmi le pupille nel momento in cui le alzo al cielo. Guardo fuori da questa finestra e mi immagino le giornate belle, quelle durante cui sto fuori tutto il giorno e torno a casa stremata ma col sorriso in volto, quelle che sembrano provenire direttamente dall’estate, quelle che ti fanno domandare cosa hai messo la giacca a fare.
Poi però la realtà, come sempre, mi appoggia una mano sulla spalla e sussurra: “Non puoi avere sempre tutto quello che vuoi”. Ha ragione, la crudele realtà, però io non chiedo tanto. Un po’ di sole, il cielo del colore del mare, un sorriso. Forse invece è troppo da desiderare. Allora come dovrei sognare ed immaginarmi vittoriosa, se una giornata di sole mi pare impossibile?
Poco a poco mi tiro su e provo a consolarmi. Se non ci fossero le giornate grigie, non apprezzerei il sole come faccio ogni volta che lo scorgo dal mio balcone, non mi sentirei fremere nelle scarpe mentre attraverso la città sotto un cielo blu, non vivrei così bene un pomeriggio al parco.
Allora provo a raccogliere le mie emozioni sparse per la stanza, tutta la vita ammucchiata nella pesante cesta che tengo in braccio, e penso. Penso che la sofferenza, la malinconia e la solitudine ti sventrano, ti svuotano e ti lasciano sembra vita. Eppure, se non ci fossero loro, la felicità avrebbe un sapore ben diverso.
Più ci ragiono e più prende un senso: non può andare sempre tutto bene. Un po’ per colpa nostra, un po’ per colpa del susseguirsi delle cose. Ma se tutto non può andare bene, allora tutto non può neanche andare male. Sospiro, contraddicendomi e ripetendomi che però tutto questo mi fa quasi soffocare, mi schiaccia faccia al suolo e mi prende a schiaffi. Sospiro e provo un’ultima volta con il mio sguardo a trasformare questa giornata uggiosa in una giornata soleggiata.
Fatti forza, suvvia. Come hai sempre fatto.
Domani magari uscirà il sole, ma per oggi va così. Provo a consolarmi in qualche modo, faccio passare il tempo, mi affido ad un domani più generoso.