Ballavi

Non riesco a cancellarti dalla mia testa, come non riuscivo a cancellarti dalla mia vista.

Me lo ricordo come fosse ieri: ballavi in mezzo alla pista con la pelle illuminata da fasci di luce che ti percorrevano il corpo muovendosi rapidi come acqua che scorre in un ruscello. I tuoi movimenti seguivano il ritmo della musica e tu, ad occhi chiusi, mi sembravi in piena estasi. La stanza era piena, così tanto che a tratti sparivi dietro la testa o la spalla di qualcuno, ma la luce che emanavi tu era più forte del resto, ben più forte dei neon appesi sul soffitto e persino più del sole quando lo guardi fisso a mezzogiorno.

Non mi hai conquistato con il tuo vestito sfarzoso ricoperto di lustrini, o con i tuoi lunghi capelli lucidi in mezzo a una folla di chiome anonime, ma mi hai rubato il cuore con quei movimenti del corpo che parevano tanto naturali quanto indispensabili, di vitale importanza. Mi sembrava che se ti fossi fermata, saresti potuta soffocare. Perché io lo vedevo che respiravi il momento, respiravi la musica.

Nemmeno mi ricordo che canzone tu stessi ballando, o che giorno della settimana fosse, o addirittura con chi mi trovassi quella sera: mi ricordo soltanto i tuoi occhi chiusi, le tue labbra incurvate in quel delicato sorriso appena abbozzato e la fluidità dei tuoi movimenti che guidavano il tuo corpo trasformandolo in un’onda che s’infrange sulla spiaggia e poi si rituffa in mare.

Spesso mi chiedo cosa sia successo in me quella sera. Come hai fatto a catturarmi così, senza nemmeno guardarmi o parlarmi? Ed io invece, come ho potuto perdere l’occasione di avvicinarmi a te? Sono passati anni e tu nemmeno sai che ti stessi guardando, o che non ballavo neanche perché mi bastava osservarti immersa in quella pace cosmica che ti illuminava tra centinaia di altre persone.

A volte mi immagino il tuo nome. Sei forse Claudia? E se quei capelli corvini mi suggerissero invece Ilaria? Magari sei Marika. Vorrei poter tornare indietro nel tempo per attraversare la folla, venire da te e, con l’umiltà di un bambino accovacciata su una spalla, chiederti come ti chiami. Mi basterebbe un nome, un insieme di lettere che io possa collegare ad uno scorcio di paradiso. Poi, forse, ti chiederei di ballare con me. Però qualcosa mi dice che perderesti tutta la tua magia. Smetteresti di essere un quadro che si guarda da lontano senza trovare risposta ai suoi misteri, e diventeresti un qualsiasi cartellone pubblicitario.

Sai, potrei venire a cercarti. Potrei tornare in quel locale di cui mi sfugge il nome e aspettare che tu faccia la tua comparsa, magari con i capelli di un altro colore, ma con la stessa pace in viso. Riconoscerei i tuoi movimenti, e forse anche quelle piccole mani che ho guardato ondeggiare verso il soffitto come se cercassero di sfiorare le nuvole. Riconoscerei addirittura le vibrazioni del tuo gracile corpo a contatto col pavimento appiccicoso.

So bene che se avessi solo avuto un pizzico in più di coraggio, forse ora saprei il tuo nome. Forse ora saremmo amici o perché no, amanti. Forse ora staremmo ballando insieme nello stesso modo in cui facevi tu quella sera. Tu mi avresti insegnato a diventare un tutt’uno con la musica, o l’avrei imparato io guardandoti per ore e ore, durante decine di serate in giro per la città.

Ma io sono rimasto immobile, e non è successo niente. Forse era solo destino: dovevi rimanere una splendida vista senza nome in una serata in discoteca. Ma il destino è una cosa complicata in fondo, e ora guardo a quella sera come a una lezione per i momenti futuri, per le occasioni che mi sono ripromesso di non lasciarmi più sfuggire. Eppure, penso che tu fossi, in ogni caso, troppo per me. Troppo bella per essere disturbata e svegliata da quella strana meditazione, troppo singolare per essere portata al pari delle altre.

Allora ho continuato a guardarti, muto come un pesce, domandandomi chi fossi. Ma chi sei? Chi eri? Non lo saprò mai e questo dubbio, nelle notti più solitarie, mi logora da dentro, come se ti conoscessi e ti avessi persa per sempre. Continuo a vederti lì, in mezzo a quella folla mentre balli senza limitazioni né preoccupazioni, e continuo a voler scattare verso di te, attraversando quella folla tanto compatta, come se ti stessi salvando da una morte certa.

Mi sei rimasta addosso, dentro. Sai, a volte mi sembra di sognarti: corro verso una luce ma è come se lì dentro ci vedessi il tuo viso. Sento che quella notte, senza saperlo, ci siamo uniti per sempre. I nostri destini si sono legati uno all’altro e da quel giorno qualcosa mi sussurra di aspettare. Aspettare e basta, perché prima o poi ti ritroverò tra le miriadi di persone che affollano ogni sera la pista, e quella volta avrò il discorso pronto, con qualche soldo scommesso sul tuo nome.

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