Ricordi assenti

Si stringe nella pelliccia scura e, a testa bassa, sale i quattro gradini bianchi.

A pensarci meglio, la giovane ragazza avrebbe potuto evitare di indossare un capo così pesante e ingombrante, oggi. In fin dei conti, non fa nemmeno così freddo. Quando si è alzata stamattina, però, il cielo grigio si fondeva con la nebbia all’orizzonte e i tetti delle case parevano coperti di brina. Quando si è affacciata alla finestra per testare il clima, poi, una brezza gelida le ha percorso il corpo intero sotto il pigiama lilla, forse troppo leggero per la stagione. Allora, dopo che i peli delle sue braccia si sono tesi verso l’alto come migliaia di suricati che osservano lontano, ha deciso di indossare la pelliccia che metteva sempre sua nonna.

La giornata, a quanto pare, ha poi preso una piega migliore di quanto si prospettasse poche ore prima. La nebbia piano piano si è sciolta scomparendo sui marciapiedi, mentre il cielo, da nube polverosa che era, si è trasformato in un tulle turchino teso sulla città.

Nonostante la temperatura si sia fatta più dolce, quella pelliccia le fa da scudo e lei si rifiuta di sfilarsela, come faceva da piccola quando sua nonna le pretendeva indietro. “I giochi sono finiti!” le diceva, allungando la sua piccola mano usurata dal tempo verso di lei.

In un momento così grigio, nonostante il mondo attorno a lei dica il contrario, sudare non è un problema. Ciò che le frulla ora nel cervello è solo un’immensa tristezza agrodolce che quella pelliccia pare amplificare.

La vita passa veloce, l’ha sempre saputo. Da quando la sorella maggiore partì anni addietro, lasciandola piccola e sola, lei ha capito quanto sia fugace ogni momento che vive, quanto sia importante apprezzare le piccole cose ed emozionarsi in ogni occasione. “Un domani, sarà tutto più complicato!” le ripeteva la vecchierella, quando lei perdeva troppo tempo a giocare sul grande tappeto antico del suo salotto.

Così ora, che si è fatta adulta ormai, non le restano che i ricordi e gli insegnamenti, assieme alle lacrime versate sullo stesso tappeto su cui giocava da bambina. “Il tempo è crudele…” si ripeteva, mentre stava seduta immobile sulla poltrona sgualcita del salotto, vegliando sull’anziana nonna che ormai non la riconosceva più. Quanta pazienza, quanta forza d’animo ha concentrato in quei momenti di pianto silenzioso, in cui solo una brace ardente le avrebbe potuto far sputare un’emozione. In quei mesi, infatti, non sprecava parole. Non parlava, se non ce n’era realmente bisogno. Forse perché era il solo modo di sentirsi meno sola. Che importanza ha una parola, se non viene ascoltata?

Imparò la contemplazione, imparò a comunicare solo con lo sguardo. Quando gli occhi verdi della nonna si illuminavano e per pochi istanti riconoscevano i suoi bruni, lei ricambiava lo sguardo assopito con un sorriso che le illuminava gli occhi. Parlavano così, loro due. Non c’era bisogno di spiegare nulla, ma bastavano qualche carezza e un bacio in fronte. Tutti gli altri, al contrario, provavano invano a far parlare l’anziana nonnina, che ormai viveva sdraiata su quel divano color glicine.

Poi anche i suoi occhi smisero di rispondere. Ogni bacio diventava sempre più difficile, più sofferto. Davanti a sé, la ragazza non vedeva che un corpo, vuoto. Pieno di organi certo, e tenuto in vita da un cuore funzionante, ma abbandonato a un cervello assente.

Oggi quella pelliccia non è un capo d’abbigliamento, ma un messaggio. Comunica così il suo dolore, il suo amore verso la sua amata nonna. Quale modo migliore di farlo, se non indossando qualcosa di suo? Quella stessa cosa che fin da piccola lei rubava per vestirsi e fingere di essere una signora d’altri tempi, come lo era la vecchietta, sempre così elegante e composta.

Ora dunque stringe a sé la pelliccia, nonostante le sue braccia si stiano infuocando e la sua fronte si stia inumidendo di sudore, lì dietro al podio, davanti a tutti. Sistemando il piccolo microfono davanti a sé, singhiozza un’ultima volta e prende un lungo respiro. Tra le sue mani, un foglio scritto fitto fitto trema come una foglia in autunno e le parole lì scritte si confondono nella sua testa. Lo appoggia, mette le mani lungo i bordi del podio e inizia a leggere.

Ricordi, confessioni e lacrime inondano la chiesa. Attraverso di lei, tutti i presenti ripercorrono la vita dell’amata signora. Attraverso di lei, vedono il suo buon gusto, la sua eleganza, lei stessa. Alcuni osservano la ragazza e pregano per lei, per il suo piccolo cuore così sensibile che ha già sofferto così tanto. Lei, però, sta finalmente lasciando uscire tutto. Ogni parola che non ha detto durante quella veglia silenziosa, ora risuona nella grande navata fino al soffitto decorato della chiesa, si arrampica lungo le colonne incise e cammina sulle panche, tra le gambe dei presenti seduti in silenzio.

L’anziana signora vive ancora una volta, attraverso i ricordi che ha perso, ma che la giovane nipote ha custodito per lei.

Il discorso finisce, svanisce come cenere al vento, e torna sulla folla quel grigiore pallido che tanto bene si sarebbe abbinato al cielo poche ore prima. La ragazza scende la manciata di gradini che pochi minuti prima ha salito, e torna a sedersi in prima fila, accanto ai genitori, alla sorella tornata apposta per la triste occasione e al nonno.

L’ultimo saluto è stato dato, e le parole finalmente le sono tornate in corpo. Ora parla, di nuovo, e accetta i baci e gli abbracci dei presenti. “Adesso starà meglio” pensa, eu un lieve sorriso bagnato di lacrime le appare in viso.

Chissà se la cara nonna ora la guarda e veglia su di lei, con i ricordi tornati al loro posto, dicendosi che quella pelliccia veste il corpo della nipote molto meglio di quanto facesse col suo.

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