é una giornata priva di vento. Il sole si scaglia contro le balaustre in ferro battuto dei balconi, contro le serrande scure ricoperte di graffiti e le persiane polverose. Brucia talmente tanto che sembra quasi possa sciogliere ogni cosa incontri i suoi raggi luminosi.
Stare in casa è l’unico modo per sopravvivere al caldo, mentre si cerca una soluzione nel venticello artificiale del ventilatore e del condizionatore. Fuori il sole sarebbe in grado di cuocere un uovo, e forse anche me.
Allora si sta in casa, mentre si pensa ai 40° dei prossimi giorni che trasformeranno la città in una fornace a cielo aperto. Nessun vento. Anche se la televisione si illumina, parla e canta, la casa è in silenzio, come una giornata di lutto, quando si chiudono le finestre e si tengono le luci spente, ed il buio regna sovrano su un regno di dolore.
O sono solo io priva di parole?
Mi sembra che il tempo non passi mai. Non so cosa fare, perché ogni cosa la faccio con poca attenzione. Non ho nemmeno fame. Il caldo e l’abbandono sono troppo forti, così come questo silenzio.
Se ci fosse almeno il vento, però, starei affacciata al mio balconcino e allora forse troverei qualcosa per distrarmi, che mi ispiri. Guarderei il viale affollato e trafficato, le persone che camminano sul marciapiede mangiato dal tempo e bucato dal caldo, e forse troverei in ogni piccolo movimento una storia intera. Forse scriverei racconti che non leggerà mai nessuno perché troppo confusi, troppo fitti di dettagli e sentimenti.
Però sarebbe meglio di stare in silenzio appoggiata su questo tavolo, con i gomiti puntati sul legno nero e le mani a sorreggermi il capo appesantito da tutte queste sensazioni.
Ma il vento non c’è.
Ci sono solo io in questa casa, solo io col mio broncio inconsolabile e la mia stanchezza. Ci sono solo io con me stessa, ora lo so.
Fatti forza, è sempre funzionato così. Nulla di nuovo, neanche questo caldo lo è. Nulla di nuovo: ti senti sola.
Penso a me stessa. Quante cose formidabili ho fatto, in solitudine. Quanti pensieri ho trasferito su carta, quante emozioni ho plasmato in una storia, quanti volti ho reinventato. Quante volte ho esplorato la mia mente, accompagnata da una piccola lanterna di razionalità che però non ha mai fatto troppa luce. Quanti buchi e strappi ho rattoppato cucendoli con la fantasia. Da sola.
Ora basta poco: mi concentro, mi impegno e in un attimo tutto il mondo attorno a me sparisce. Resto solo io, come un tempo. Resto solo io seduta di fronte a me stessa, con il bisogno di parlare, spiegare, o anche soltanto di farmi compagnia in silenzio.
Mi sei mancata.
Mi dedico a me stessa, come da tempo non facevo più ormai, e piano piano questa amarezza si trasforma in un calore familiare, che non sentivo da un po’. Non so come descriverlo: è quel qualcosa che ti fa sentire a casa, nonostante le lacrime appena versate con la testa tra le mani, affondate nei capelli annodati dalla disperazione. È il sapore di se stessi, è un grido coraggioso dell’anima, che rimbomba in tutto il corpo come l’eco in montagna, lo scalda e ne rilassa le membra, tese dalla tristezza.
Ti sono vicina.
Ora il caldo sembra meno malvagio. Quasi non mi serve più, questo vento artificiale.
Mi basta me stessa. Mi basta sentirmi a casa, tra le mie stesse braccia e baciata dalle mie stesse labbra su una guancia rigata di sale.
Ti ho data per scontata.
Voglio stare da sola, ma non in solitudine. Voglio ballare, cantare a squarciagola con me stessa, piroettando in sala e saltando sul divano, urlando come se fossi una bambina che salta sul letto matrimoniale dei genitori la mattina di Natale.
Allora forse sì, mi servirà questo vento artificiale.