La luna è piena, stanotte. Le poche stelle che si vedono nonostante le luci della città, punteggiano il cielo scuro ed un bagliore bianco si riflette sul cemento del centro. Una brezza estiva spazza il prato del parco qui vicino ed il polline si alza in un turbinio di acrobazie leggiadre, pronto ad inondare le strade, le case, i cortili affollati e colorati di fiori appena sbocciati. In fondo al viale vedo un palazzo altissimo, con la cima appuntita come una matita appena temperata, che troneggia sulla città, con i suoi bagliori rossi ad intermittenza e le luci che di sera brillano nel cielo milanese.
Cammino prendendo a calci una lattina accartocciata, con la testa china e l’orecchio teso verso il rumore delle macchine che sfrecciano nel viale, della gente che parla e ride, scherza ad alta voce, mentre il tram che passa fa risuonare i binari e se stesso con un fragore di metallo e scintille, che mi riporta in un passato che non ho mai vissuto.
Mentre cammino da sola per le vie del mio quartiere, a passo svelto per non fare tardi a casa, vedo gli occhi degli sconosciuti squadrarmi dalla testa ai piedi, velocemente, perché tanto sono piccola e ci vuole poco. Cerco di non ascoltare ciò che dicono, ma lo immagino, lo ricordo da altre volte che invece ho sentito bene. Camminare sola per le strade del centro non mi ha mai fatto paura, nemmeno ora che sono una donna. Gli altri però, che in me vedono proprio una figura femminile fatta e finita – fatta bene, inoltre – non si risparmiano i commenti. E cosa vuoi che sia?
Cosa vuoi che sia, camminare a testa china per non incrociare il loro sguardo? Chi di loro si spingerebbe oltre, e chi invece parla e basta? Meglio non scoprirlo. Allora i miei occhi si concentrano solo sulla lattina accartocciata, che fa rumore sull’asfalto ad ogni mio calcio e spero sia in grado di spostare la loro attenzione altrove. Cammino, fingendo di non sentire, ma la mia musica si è fermata tempo fa ed è inevitabile sentire ogni cosa. Un commento, un complimento velato di malizia, un affronto a ciò che sono, a chi sono. A nessuno sembra importare.
Cosa vuoi che sia, affrettare il passo e trattenere il respiro? Sento tutto, è vero, ma loro non devono saperlo. Perché se sorrido ad una stupida battuta, o la mia bocca si incurva ad un commento squallido, allora quella rappresenta una possibilità. Ma io non esisto. Non vorrei esistere, a dire il vero. Mentre cammino, sento dietro di me un invito a salire in casa, a conoscersi, con un tono amaro che mi disgusta. Alle mie spalle, quella voce prende la forma di una minaccia, del pericolo, della paura, quella vera.
Cosa vuoi che sia, non sentirsi al sicuro nemmeno sotto casa? Sono a pochi passi dal mio portone, eppure qualcuno ha scelto me per sfogare i suoi pensieri. Qualcuno ha deciso che sono attraente, e nemmeno così giovane, e magari qualcosa potrebbe combinarci. Io però vado alla deriva, cercando con tutte le mie forze di lasciar perdere, di non sentire, di non capire. Eppure le loro parole si scagliano come proiettili contro di me e le chiavi di casa mia mi tremano tra le mani. Sono sola.
Cosa vuoi che sia, dover avere paura di vestirmi come voglio? Fa caldo ormai, un caldo che fa venir voglia di strapparsi la pelle di dosso, allora sai – mi sento carina – e in questi giorni mi infilo una gonna ed un top corto, esco di casa e mi chiudo il portone alle spalle. Della mia pancia si vede a malapena un misero centimetro di carne bianca, quasi trasparente, perché di sole non ne ho ancora preso. Le mie piccole braccia e il mio petto sono scoperti, certo, ma il mio seno striminzito non fa capolino da nessuna scollatura, e mi sento a mio agio. Dal ginocchio in giù, poi, è pelle nuda, ma è estate in fondo, o sbaglio? Un occhio più attento di me al mio corpo, però, ha deciso che la mia pelle necessita uno strato di commenti, di parole, di opinioni non richieste.
Cosa vuoi che sia, essere donna? Mia nonna mi ha sempre detto: “Giada, non scoprirti troppo, che altrimenti poi tuo marito non avrà più nulla da scoprire.”, ma il problema non è il mio futuro marito, nonna, il problema è quell’uomo che, insieme agli amici, mi squadra mentre cammino e appoggerebbe volentieri una mano sul mio corpo, ma non per portarmi all’altare. Nonna sai, hai ragione a volermi a casa presto. Hai ragione a rimproverarmi quando esco in pantaloncini, perché tu meglio di me sai che troppi uomini mi guarderanno, e tanti diranno qualcosa.
Però sono una donna. Ho diritto di essere libera. Non voglio avere paura, non devo avere paura. Non merito di essere trattata come un pezzo di carne, come una macchina sportiva che sfreccia nel viale e che tutti guardano con invidia. Sono un essere umano, prima di essere una donna. Sono una figlia, una nipote, una sorella, una fidanzata. Sono simbolo di fertilità, di nascita, di crescita. Sono molto di più di uno spettacolo ambulante da osservare con una birra in mano e con la bocca piena di malvagità.
Cosa vuoi che sia, portarmi rispetto?