Abbasso il viso.
Cosa sta succedendo?
Tutto sembra ovattato,
un lontano rumore,
e una luce fioca,
spenta,
ormai morta.
Mi sento stanca.
Guardo in terra
e non vedo che cemento,
guardo in terra
mentre tutto svanisce.
I palazzi, alti,
giganti di cemento,
diventano pennellate d’acqua
e si fondono al cielo bianco.
Le persone
e le strade
d’improvviso fuggono
verso una vecchia fotografia,
diventano storia.
Il verde degli alberi
si schiarisce
e color neve
diventa parte del cielo.
Così anche i rumori,
le voci e i suoni
che piano piano
si allontanano
e non resta che il silenzio.
Tengo il viso fisso
su quel cemento
crudo, duro.
E le crepe del caldo
che lo spaccano in pezzi
mi ricordano me,
da bambina,
che osservavo mia madre
affondarci con i tacchi,
e quanti buchi
restano incisi
sotto questo citofono.
Quante volte
in questo momento
sarei voluta sparire,
volare via nel vento,
diventare polvere
e unirmi al cielo.
Perché è così dura?
Dire arrivederci,
svegliarsi d’improvviso.
Non voglio,
non posso sollevare il viso.
Così lo fisso,
il cemento crudo
sotto le mie scarpe,
ma qualcuno a sua volta
mi fissa da sopra.
È questo il momento,
sveglia.
Arrivederci.
Sollevo il viso,
infine,
e sono solo io
che fisso lui.
Lui
che fissa me.
E vorrei tornare indietro.
E me lo ripeto.
Vorrei riavvolgere
questa giornata
e le mille altre,
ma sono sveglia.
E lui parla.
Arrivederci.
Osservo quella tela,
dietro di lui:
tutto è svanito,
siamo solo noi.
Allora è così.
Anche oggi,
arrivederci.