Inghiottita dal rumore e dalle parole, sento la mia mente isolarsi e rifiutarsi di ascoltare, nonostante i richiami, nonostante i doveri.
Guardo il cielo dipinto di azzurro, decorato con sottili pennellate rosa in lontananza e con le nuvole a brandelli, sopravvissute ad un brusco temporale durato giorni. Ora però ciò che vedo mi ispira serenità: è come tirare un sospiro di sollievo dopo un lungo periodo di confusione, di difficoltà.
Mi fermo a pensare.
Ma a cosa penso? Forse a nulla, forse non ho voglia di ascoltare e mi rifugio nella mia testa. Perché la gente parla ma io non riesco a concentrarmi: le loro parole diventano per me un lontano fruscio di foglie secche, sospinte dal vento.
In cerca di uno spiraglio di gioia, guardo il giardino fuori da questa grossa finestra. Un giovane albero è quasi in fiore e le sue piccole foglie di un delizioso verde acceso stanno aggrappate ai suoi rami sottili. Un altro albero, alto e più anziano del precedente, è totalmente spoglio, i suoi grossi rami sono stati tagliati recentemente e ora nudo ci osserva dal giardino, con aria triste. O sono io ad esserlo? Sono forse io a cercare conforto in un viso assente quanto il mio, che sarei disposta ad incidere in una corteccia pur di sentirmi meno sola?
Un cancello mi separa da quella che definisco libertà, ma che forse significa soltanto non prigionia e che un domani chissà, magari mi spaventerà come l’oceano aperto. Qua dentro tutto è dettato dal ticchettio di un orologio mentre là fuori solo il vento e il sole scandiscono il tempo. Chiusa qui, mi dico che preferisco il mondo oltre queste pareti, oltre questa finestra, almeno per adesso.
L’unica cosa che fugge ora è la mia attenzione, così finisco col crogiolarmi nell’autodistruzione, consapevole che non sto dando il massimo. Ma che poi, qual è il mio massimo?
Una risata mi riporta alla realtà per un brevissimo istante e i miei occhi tornano dove dovrebbero essere. Ma mi guardo attorno e mi ripeto che qui non voglio starci.
Fuggo ancora.
Questo cielo luminoso mi contagia col suo sorriso paonazzo e mi stringo nelle spalle in cerca di conforto. Mi è inevitabile pensare a me, alle persone che amo e che ora soffrono o sono in difficoltà: quanto vorrei trasformarmi in gioia e posarmi sui loro capi, contagiarli col calore di un sorriso e farli stare meglio. E starei meglio anche io. Perché sono un giunco che si piega al vento, succube della bufera di emozioni che mi scombussolano l’anima, nonostante io voglia essere forte, indipendente. Ma non lo faccio apposta, lo giuro.
Mi addentro ulteriormente nella mia distrazione e mi sento così a disagio. Vorrei scuotermi e svegliarmi, fare il mio dovere, perché il mondo qua fuori è appena rinato e io vorrei imitarlo.
Forse però, mi servirebbe un po’ di pioggia prima.